Questo studio sull’estetica di ispirazione tomista, animato dall’intento di riattualizzarla, ebbe una irradiazione considerevole nell’ambiente degli artisti, dei filosofi e dei teologi, in quella temperie spiritualmente e culturalmente fecondissima e fermentante della Parigi degli anni Venti, tra le “sperimentazioni” di Jean Cocteau, l’arte di Henri Ghéon, di Francis Jammes e di Max Jacob, la pittura di Georges Rouault, quella di Gino Severini e l’avanguardia musicale di Erik Satie, di Arthur Lourié, di Francis Poulenc, di Georges Auric, di Darius Milhaud, di Igor Stravinskij. In un mondo così caleidoscopicamente “anarchico”, le chiare distinzioni concettuali e il senso del mistero del soggetto umano nel suo “fare” artistico, propri dell’estetica che si riallaccia a san Tommaso – attraverso l’intelligenza vigorosa e la sensibilità artistica di Jacques Maritain, affinata dalla consuetudine con la delicata poesia religiosa di Raissa – stabiliscono un ordine profondo e organico, al di là delle artificiose “sistemazioni” ideologiche.
«Come si tocca un trascendentale, si tocca l’essere stesso, una rassomiglianza di Dio, un assoluto, la nobiltà e la gioia della nostra vita; si entra nel campo dello spirito. È significativo che gli uomini non comunichino veramente tra loro, se non passando per l’essere o per una delle sue proprietà [...] Se restano nel mondo dei loro bisogni sensibili e del loro io sentimentale, avranno un bel raccontarsi gli uni agli altri, non si comprenderanno, ognuno infinitamente solo, anche quando il lavoro o la voluttà li lega insieme. Ma si tocchi, invece, l’Amore, come i santi, il vero, come in Aristotele, il bello come in Dante o in Bach, o in Giotto: allora il contatto viene stabilito e le anime comunicano».